Per andare in Sri Lanka da Bergamo c’è un volo Malpensa – Colombo con uno scalo tecnico a Roma. Ed è proprio qui, a Fiumicino, dopo nemmeno un’ ora di viaggio, che si vedono decine e decine di Singalesi che scendono dall’aereo. E’ il loro arrivo in Italia. Sono giovani famiglie, vestite all’occidentale, con uno o due bambini e una signora anziana al seguito, la mamma. Vestita con i colori ed i tessuti dello Sri Lanka, è lei che comincia a colorare l’immaginario dei turisti.
Turchese, fucsia, ocra, ciano, sono tutti i colori brillanti e pieni che si trovano nei fiori e nella frutta esotica, che si accumula strabordante sui banchetti di fortuna ai cigli delle strade. Ogni tronco caduto e foglia di palma trovata sono ottimi per costruire quel piccolo tavolo con tettuccio dove vendere i frutti della giornata. Dal karambola o frutto stella, al jackfruit, al rambutan, all’ananas, ogni frutto è un’esplosione di colori e forme che si confonde con i lunghi vestiti delle donne.
Sono gonne, che si trascinano sulle strade polverose per poi mescolarsi con il sale delle salamoie. Attraversando il mercato del pesce, si scorge in lontananza un luccichio che si confonde con il riverbero del sole sul mare. Sono le squame di centinaia e centinaia di pesci distesi uno accanto all’altro che, per essiccare al sole, sono adagiati su enormi teli di juta, distesi sulla spiaggia.
Il movimento maldestro di stormi irriverenti di corvi, che cercano di accaparrarsi qualche scarto della pesca, distoglie la mente dall’odore acre del pesce che pervade tutta la spiaggia. I granelli di sabbia dorati sprofondano al passaggio dei passi veloci di una famiglia che, casco al braccio e infradito alla mano, si precipita sul bagnasciuga, come fosse in ritardo per un appuntamento. Vedono il mare, per la prima volta.
La guerra civile, cominciata nel 1983 e terminata nel maggio del 2009, ha provocato più di 70 mila vittime, impedendo qualsiasi tipo di spostamento. Inoltre, il 26 dicembre del 2004 la Grande Onda, lo Tsunami, ha investito la maggior parte delle coste dello Sri Lanka, distruggendo le zone più popolate ed economicamente più attive del paese e aggravando così le condizioni di vita già precarie delle fasce più povere della popolazione. Questa famiglia, come molte altre dell’entroterra, non ha quindi mai potuto vedere il mare prima d’ora.
E’ da questi incontri che si comincia a respirare l’aria di una nazione che vuole rinascere e lo vuole fare valorizzando le ricchezze della propria terra, della cultura e delle tradizioni attraverso un lavoro quotidiano e continuo.
Ad ogni angolo di strada, fiume, foresta, mare, è inevitabile vedere qualcuno indaffarato in un esperto lavoro artigianale. Guardando in alto lungo il fiume Maha a Negombo non è difficile vedere uomini sulla settantina che si arrampicano sulle palme, spostandosi da una all’altra, come fossero dei funamboli, per estrarre un liquido prezioso per il liquore della zona. Sbirciando tra delle mattonelle, attratti da uno strano rumore, si scorge un ragazzino. Avrà poco più di quindici anni e, con un fazzoletto ormai nero legato davanti alla bocca, che lo fa sembrare un bandito, leviga sapientemente un pezzo d’ottone con i fregi più simbolici della tradizione induista per farlo brillare. Basta poi inoltrarsi in piccoli sentieri, accanto alle strade principali, seguendo veloci ombrelli colorati che proteggono dal sole, per sbucare in distese verdi dove gruppi di donne con la schiena china e le gambe coperte d’acqua fino alle ginocchia strappano mazzetti di riso.
Oggi, dopo 8 anni, quando si attraversa il paese, si sente l’energia del lavoro continuo e costante di persone che credono nella loro “Splendida terra” (questo è il significato della parola Sri Lanka) e vogliono farla rinascere.
Turchese, fucsia, ocra, ciano, sono tutti i colori brillanti e pieni che si trovano nei fiori e nella frutta esotica, che si accumula strabordante sui banchetti di fortuna ai cigli delle strade. Ogni tronco caduto e foglia di palma trovata sono ottimi per costruire quel piccolo tavolo con tettuccio dove vendere i frutti della giornata. Dal karambola o frutto stella, al jackfruit, al rambutan, all’ananas, ogni frutto è un’esplosione di colori e forme che si confonde con i lunghi vestiti delle donne.
Sono gonne, che si trascinano sulle strade polverose per poi mescolarsi con il sale delle salamoie. Attraversando il mercato del pesce, si scorge in lontananza un luccichio che si confonde con il riverbero del sole sul mare. Sono le squame di centinaia e centinaia di pesci distesi uno accanto all’altro che, per essiccare al sole, sono adagiati su enormi teli di juta, distesi sulla spiaggia.
Il movimento maldestro di stormi irriverenti di corvi, che cercano di accaparrarsi qualche scarto della pesca, distoglie la mente dall’odore acre del pesce che pervade tutta la spiaggia. I granelli di sabbia dorati sprofondano al passaggio dei passi veloci di una famiglia che, casco al braccio e infradito alla mano, si precipita sul bagnasciuga, come fosse in ritardo per un appuntamento. Vedono il mare, per la prima volta.
La guerra civile, cominciata nel 1983 e terminata nel maggio del 2009, ha provocato più di 70 mila vittime, impedendo qualsiasi tipo di spostamento. Inoltre, il 26 dicembre del 2004 la Grande Onda, lo Tsunami, ha investito la maggior parte delle coste dello Sri Lanka, distruggendo le zone più popolate ed economicamente più attive del paese e aggravando così le condizioni di vita già precarie delle fasce più povere della popolazione. Questa famiglia, come molte altre dell’entroterra, non ha quindi mai potuto vedere il mare prima d’ora.
E’ da questi incontri che si comincia a respirare l’aria di una nazione che vuole rinascere e lo vuole fare valorizzando le ricchezze della propria terra, della cultura e delle tradizioni attraverso un lavoro quotidiano e continuo.
Ad ogni angolo di strada, fiume, foresta, mare, è inevitabile vedere qualcuno indaffarato in un esperto lavoro artigianale. Guardando in alto lungo il fiume Maha a Negombo non è difficile vedere uomini sulla settantina che si arrampicano sulle palme, spostandosi da una all’altra, come fossero dei funamboli, per estrarre un liquido prezioso per il liquore della zona. Sbirciando tra delle mattonelle, attratti da uno strano rumore, si scorge un ragazzino. Avrà poco più di quindici anni e, con un fazzoletto ormai nero legato davanti alla bocca, che lo fa sembrare un bandito, leviga sapientemente un pezzo d’ottone con i fregi più simbolici della tradizione induista per farlo brillare. Basta poi inoltrarsi in piccoli sentieri, accanto alle strade principali, seguendo veloci ombrelli colorati che proteggono dal sole, per sbucare in distese verdi dove gruppi di donne con la schiena china e le gambe coperte d’acqua fino alle ginocchia strappano mazzetti di riso.
Oggi, dopo 8 anni, quando si attraversa il paese, si sente l’energia del lavoro continuo e costante di persone che credono nella loro “Splendida terra” (questo è il significato della parola Sri Lanka) e vogliono farla rinascere.