Solo attraverso questi nuovi occhi si può cominciare ad entrare in relazione con Pippo, Anna, Rossana, Luigi, Elda, Giovanni, e tante altre persone il cui nome spesso è un dettaglio che loro stesse dimenticano.Isidora, è una delle Città Invisibili di Italo Calvino, la città in cui tutto sembra possibile, la “città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d’arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza…”
Isidora vuole portare l’attenzione sullo spessore denso di significati e interpretazioni dei sentieri-storie, che si svelano nel qui e ora dell’incontro con le singole persone. Attraversare questi incontri con la fotografia significa rendere permeabile, accessibile, ciò che solitamente si mostra come un cortocircuito del senso, che sbarra l’accesso.
Scegliere la fotografia come strumento per entrare in questo ambiente è voler bloccare un istante nel tempo , il presente che, solo nelle persone affette da Alzheimer, diviene l’unico spazio-tempo di vita, di espressione, di relazione e di cura. Fotografare in questo caso più che in altri è davvero fare memoria, per chi non ce l’ha più.
E’ come un setaccio, capace di filtrare relazioni, gesti, sguardi, silenzi, attese, azioni, emozioni e vissuti attraverso cui vincere il pregiudizio di sguardi viziati dall’abitudine o dalla stanchezza. La fotografia chiede disponibilità all’ascolto, rompe il cortocircuito, con cui osserviamo il malato di Alzheimer rendendo abitabile lo spazio della cura.
Ricercare attraverso le immagini è seguire delle tracce e costruire sentieri praticabili, aprire delle stanze, che possono divenire luogo dell’incontro e dell’intimità di pochi, ma anche di una comunità intera che si raccoglie, al suo interno, per fare casa, e rendersi più ospitale.
“…nessuna rappresentazione della demenza, che non sia la realtà, riuscirà mai ad emozionarmi più della realtà stessa..”.questo è sempre stato il mio pensiero.
La mia paziente, che non riconosce sé stessa allo specchio, ma mi accoglie con un “Buongiorno dottoressa”, anche se non ho il camice; il mio paziente, privato da tempo di una gamba, che mi chiede della mia salute vedendomi un po’ claudicante; o ancora i complimenti, che so essere scevri da qualsiasi forma di convenienza, o le parolacce dette con il furore di chi non comprende e non può controllarsi.
Queste sono le mie esperienze quotidiane che mi provocano continuamente una rivoluzione di sentimenti difficilmente evocabili da rappresentazioni artistiche.
…Questa era la mia convinzione…
Avvicinandomi a queste fotografie però, ritrovo e rivivo la desolazione, l’inquietudine, la trasformazione, lo strazio, la solitudine che così frequentemente accompagnano questa malattia; ma anche il pudore, la curiosità, il maternage, la ricerca di punti fermi, l’affermazione dei sentimenti: una “normale” umanità di chi di “normale”non ha più nulla.
O forse, semplicemente, non ha più il “normale” controllo della ragione: e allora il bacio alla Madonnina viene dato con un trasporto inusuale; la routine quotidiana del farsi fare la barba viene vissuta tranquillamente solo se al di fuori di orari convenzionali; il semplice incrociare le braccia quasi a volersi stringere forte, sembra esprimere il desiderio surreale di tenersi ciò che ancora si ha dentro…sembra…forse…
A volte c’è uno sprazzo di gioia e allora torna a tormentarmi l’idea che forse l’oblio porti alla felicità…forse.
Ritrovo angoscia e serenità, sofferenza e gioia, affetto e ingiurie, normalità nella devastazione: contraddizioni così frequenti in questa malattia.Quanti forse.
Quanti sembra.
Quanti misteri.
Quanto fascino”Dott.essa Gloria Belotti – Geriatra